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Al calduccio nella pancia, al sicuro nella mente

Al calduccio nella pancia, al sicuro nella mente

Il tempo dell’attesa, della trasformazione e della nascita.

Ho iniziato a interessarmi seriamente al periodo dell’attesa di un figlio dopo che io stessa ho attraversato questa esperienza. Prima di allora mi saltava all’occhio solo la pancia, la grande pancia delle donne in gravidanza avanzata, che mi appariva paradossalmente come qualcosa di innaturale, di enorme e pesante. Era davvero lo sguardo di un profano, perché non ero consapevole che il cambiamento fisico è solo la punta dell’iceberg della trasformazione radicale che la donna vive con l’arrivo del primo figlio. E che il cambiamento irreversibile è nell’interiorità, dopo che più o meno il corpo ha ripreso la sua forma abituale.

Non sapevo di certo che quella grande, o ancora modesta, pancia intrattiene con la testa un dialogo continuo, fatto di chimica e fluidi, ma anche di mente e spirito. E che a sua volta la “testa” o mente della donna incinta, in virtù di quel dialogo privato e misterioso, piano piano si modifica per assumere le sembianze del cervello di una madre. Da dove cominciamo?

Dall’inizio. D’accordo, ma trovare l’inizio a volte può essere come pretendere di decidere finalmente se è nato prima l’uovo o la gallina. Nel nostro caso la domanda è: quando sono iniziati i preparativi per accogliere il piccolo ospite, atteso o inatteso che sia stato, da parte della futura madre. In altre parole, quando si comincia a diventare una mamma?

Si dice che gli ultimi due mesi della gravidanza siano il tempo della preparazione del Nido, quando ci si affanna per fare gli acquisti “indispensabili” affinché nulla venga a mancare al nascituro o piuttosto alla sua mamma per sedare l’ansia che la coglie di fronte ai compiti di far nascere il proprio bambino e poi di allevare un neonato.

Come mi disse scherzando un’amica senza figli, un neonato potrebbe dormire anche in un cassetto. Ripensandoci oggi, con i dovuti modi credo che possa essere esatto. Intendo dire che per una creatura piccina l’accoglimento più necessario è uno spazio tiepido intessuto di sentimenti, pensieri e immagini a lei/lui rivolti, che nel corso dei nove mesi la mamma ha creato lassù, nella ”stanza dei bottoni”, nella sua mente.

Come prima, possiamo domandarci quando sia iniziata la tessitura di questo grembo psichico, quando si inizia a diventare una mamma. Forse prima, quando la gravidanza era ancora un desiderio? Il desiderio di avere un bambino, di potersene occupare, che ha smosso le acque della quotidianità e ha fatto emergere quasi una nostalgia, una tensione forte verso il ritorno nella terra primordiale della riproduzione e della abnegazione materna.

Si può controbattere che molte gravidanze arrivano per caso, e non per desiderio. Anche se sappiamo che il desiderare non è necessariamente un processo consapevole, o conscio, dato che l’Inconscio è anarchico e alberga in luoghi poco accessibili di noi stessi, dunque si può desiderare anche senza che il nostro IO lo abbia già saputo. Semplificando, il messaggio segreto può essere giunto al corpo che ha registrato un muto “via libera” al concepimento. Quel che è certo è che l’inizio del processo non può essere ricercato nel luogo del desiderio. Ma forse in quello del sogno, si. Quando ha iniziato la futura madre a sognare di avere un bambino? Forse già nei giardini dell’infanzia, giocando, immaginando.

E’ bene considerare che ogni fase della gravidanza porta qualcosa di nuovo e nuove sfide per la donna. Per prima cosa, dopo aver risposto “si, accetto questa maternità”, chinando il capo all’Angelo Annunciante dei giorni nostri (il test di gravidanza) proprio come le Madonne delle Annunciazioni della nostra iconografia religiosa, la donna deve iniziare a prendere coscienza che la gravidanza è reale. L’annuncio ha un potenziale traumatico e richiede tempo per essere “digerito”. Quali emozioni la attraversano?. Ci sono il turbamento, lo spavento, come nel dipinto di Lorenzo Lotto, dove al comparire dell’Angelo un gatto fugge e una giovane Maria sembra invocare protezione? Oppure la gioia, il sollievo per un risultato tanto atteso? La gravidanza è fatta di luci ed ombre, di sentimenti contrapposti e coesistenti ed una donna incinta si trova in uno stato di particolare vulnerabilità emotiva e psicologica, ha bisogno di molto supporto per poter affrontare la metamorfosi del suo corpo e della sua identità. Essa compie un viaggio interiore, in un certo senso rivisita la propria madre, quella che ha dentro di sé, per potersi appoggiare a lei come la Madonna con bambino di Leonardo da Vinci che siede simbolicamente in grembo a Sant’Anna (nella foto). Ricontattando la propria Madre, quella idealizzata, tenera e immensa della primissima infanzia, la pietra miliare su cui ci siamo costruiti, la futura madre trova il modello di cui ha bisogno. A volte la gravidanza può offrire anche l’opportunità di modificare nella realtà vecchi conflitti, cose andate male con i propri genitori.

Dal secondo trimestre, con le ecografie, con gli esami, con i segnali del corpo ed il piccolo ospite che si fa sentire, si avvia ad un fitto via vai di rappresentazioni mentali e di pensieri intorno al feto-bambino: a chi assomiglia, com’è di carattere, se è sano e fatto bene, e così via. Si va dipingendo nella mente della futura madre un bambino immaginato, e poco a poco se le cose vanno bene, il grembo psichico in cui il bambino viene tenuto cresce insieme alla pancia.

Andando ancora a ritroso, ritroviamo semini di maternità nel nostro essere creative, nel nostro esserci prese cura di un cucciolo o di un bambolotto, nella pappa data ad un orsetto o nei ricordi in cui nostra madre che si occupava del fratellino (magari tentavamo di imitarla per sentire meno i morsi della gelosia) e nel nostro stesso essere state bambine: si riprende contatto con il primissimo bambino che abbiamo conosciuto, noi stesse, e con le cure che abbiamo ricevuto. Quella è la nostra prima memoria di un neonato: quello che siamo stati tutti noi. E l’immagine che la puerpera ha di sé bambina è in buona parte quella che era presente nella mente della propria madre quando questa la guardava e si occupava di lei.

Dunque, la nostra ricerca sta andando tanto indietro nel tempo, a toccare le generazioni precedenti e i loro sogni di maternità: la madre della madre, e logicamente anche la nonna…perché gli stili di accudimento si possono tramandare per alcune generazioni.

Nel complesso si può dire che il tempo dell’attesa sia un periodo straordinariamente attivo e ricco, può essere vissuto in modo positivo o negativo, ma è essenziale che il contesto familiare, sociale, la futura madre stessa non lo idealizzino forzatamente, per lasciare aperta la possibilità di raccontarsi anche nei momenti bui e critici. E’ un tempo prezioso per guardare dentro di sé e tentare di sciogliere dei nodi prima che il bambino sia nato. E’ un’occasione speciale per fare prevenzione. Perché la trasformazione della propria identità richiede a volte fatica, rinunce, ambivalenze.

Fantasticare, raccontarsi, condividere con altre mamme, con altre donne, o con uno specialista. Per non sentirsi sole né durante la gravidanza né dopo il parto. Quindi incontrarsi e narrare di sé, dei propri incubi, ascoltare le altre, dissipare le nubi per fare spazio e dare forza al legame interiore che si va formando con il bambino già prima della sua nascita, intessuto di sogni e di attesa.

Questo dialogo interiore, di cui il feto-bambino diventa un partner sempre più attivo e concreto, sarà di grande aiuto a mamma e figlio dopo la grande separazione del parto, indicherà una via da seguire per ritrovarsi e riconoscersi nel mondo di fuori, faccia a faccia finalmente. E pelle a pelle, finalmente.

Molte cose ci sarebbero da dire sul periodo dopo il parto, sull’identità paterna e su tanto altro. Per ora ci fermiamo qui. Arrivederci.

Dott.ssa Daniela Pollini – Psicologa, psicoterapeuta

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